Rispetto alla notizia apparsa sugli organi di informazione dell’accordo fra Eni e Snam per il progetto pilota di sequestro della Co2, ferma restando la difficoltà di valutare una tecnologia che è ancora in fase di prototipo e in pochissimi impianti in Europa (per la quale per ora conosciamo solo le ipotesi assai parziali apparse sui giornali), esprimiamo una forte preoccupazione.
Siamo convinti che tale soluzione, più che essere un contributo alla transizione, rischia di essere un impianto molto costoso, finalizzato a tenere in vita la ormai vecchia economia lineare basata sulle fonti fossili e che produrrebbe comunque un “rifiuto” (la Co2) stoccato nel sottosuolo in giacimenti ormai esauriti di metano per i secoli a venire: con tutte le incognite che tali depositi, specie se permanenti, potrebbero determinare.
La nostra non è una pregiudiziale assoluta verso ogni tecnica di sequestro. Sappiamo ad esempio che ENI sta facendo ricerche interessanti su altre modalità di sequestro della Co2 con alghe e altre essenze vegetali per assorbire la Co2 e usarla per produrre ad esempio biocombustibili o biomateriali (che potrebbero essere propedeutici anche ad una nuova chimica non più da petrolio) che, almeno in termini di sperimentali, potrebbero essere più compatibili, in una fase transitoria, con l'obiettivo di una economia circolare e green.
Siamo dell'idea che, nonostante le nostre riserve di principio e quelle espresse più volte da tutto il mondo ambientalista, il progetto di sequestro della Co2 per prima cosa non debba percepire alcun finanziamento pubblico e debba essere sottoposto a una accurata analisi di VIA, particolarmente attenta agli aspetti di sicurezza, di sostenibilità complessiva, al fatto che previsto o meno un riutilizzo della Co2 e per quali finalità, ad un approfondimento per capire se tale progetto sia volto a ridurre, nella transizione, le emissioni del polo chimico ed energetico dell'area ravennate o intenda trattare emissioni di un'area più vasta, al rapporto costi-benefici soprattutto in relazione a progetti alternativi in una fase di crescente competitività delle fonti rinnovabili; e che debba essere valutata e giudicata dalla nostra comunità attraverso un procedimento trasparente e partecipato.
Ci troviamo in una situazione in cui il rigassificatore ha terminato il suo iter di approvazione, il Governo ha riaperto alla possibilità di estrazione del metano anche sotto le 12 miglia, addirittura si ventila l’ipotesi di un secondo rigassificatore, una volta terminata la concessione a Piombino, e nel frattempo pochissimi passi vengono fatti in direzione delle rinnovabili, con le Comunità Energetiche ancora in attesa dei decreti attuativi e il progetto Agnes che prosegue a rilento nel suo iter autorizzativo.
A questo, visto che una delle motivazioni addotte a supporto del progetto CCS riguarda i posti di lavoro, aggiungiamo che ci sarebbe piaciuto molto come “regalo di Natale” - e riconoscimento della responsabilità con la quale la città si pone e si porrà verso questa emergenza - vedere presentata una proposta organica targata Eni e Snam su un piano di decommissioning comprendente anche Angela Angelina, sulla bonifica e rimozione delle piattaforme inutilizzate sui pozzi esistenti e non più funzionanti, sulla possibilità di passare a rinnovabili tutto ciò che è facilmente realizzabile a cominciare dalla copertura dei lastrici disponibili, degli uffici, dei parcheggi e dei capannoni, la bonifica e la riforestazione di terreni in proprietà da recuperare. Tutte cose facili e sicure, che avrebbero ridotto o compensato emissioni (almeno di uffici, sedi e stabilimenti) e che siamo sicuri avrebbero garantito altresì occupazione di qualità per anni.